mercoledì 23 luglio 2008

De l’Ozio e il significato


ovvero

discorso sulle parole, il loro senso e quello che pensavate di sapere, cioè un cazzo.


“Idioti, capre, bestie”. Oppure “sciocchi, allocchi, beoti”. Ancora “fannulloni, inetti, falliti”. O anche “sognatori, qualunquisti, autostoppisti utopisti”.

Questo e altro ancora vi diranno, perché già a me è stato detto, ma non temiate, non tremiate, perché queste sono le parole di chi le parole non sa.

E vi spiegheranno, e vi dimostreranno, e proveranno a convincervi, che il fare è la sola via per l’essere, che solo nell’azione l’io esiste, e che il lavoro rende liberi.(1)

E se anche potrebbe parvi che avessero ragione, non spaventatevi, ma chiedetegli piuttosto: “Fare che?”, “Essere chi?”, “Esistere co?"(2) Oppure “Quale lavoro?”, “Liberi da checcosa?”.

A queste arcane, abissali e preziose domande in molti modi vi potranno rispondere.

I più onesti e virtuosi di loro, definiamoli “i fessi”, si sgonfieranno della loro tronfiaggine e della loro boria, e si rifugeranno dietro a termini a volte meschini e a volte bislacchi, termini come “dovere”, “morale”, “sopravvivenza”, “morigeratezza”, “lombosciatalgia”, o ancora di più scomoderanno vocaboli quali “famiglia”, “responsabilità”, “organizzazione”, “impossibilità”.

Altri, chiamiamoli “gli irriducibili”, vi prospetteranno il randello, l’olio di ricino, il giogo, le catene, la frusta.

I più astuti, chiamiamoli “i dritti”, invece proveranno con la carota, il piacere, il soddisfacimento dei bisogni, il denaro, il potere, la gloria.

Ebbene, a questi deboli, o stolti, o melliflui, voi direte “Fermati un attimo, siediti al mio fianco, appoggia le tue stanche, consunte ed abusate natiche su di questo giaciglio; parliamone”.

Parliamo, sì, perché è dalle parole che tutto scaturisce, e sulle parole tutto si regge.

E da queste noi ripartiremo.

Non vi fidate? Non mi credete? Bene, vi spiegherò due cosette, ma per comprenderle dovrete fare un poco di fatica.

“Fatica!?!” diranno i più scettici, “Ci prometti ozio e ci chiedi fatica?!”.

Calma fanciulli, calma, niente fretta e niente paura. Le parole sono importanti (3) , e hanno il loro significato, ma non quello che vi hanno fatto credere che avessero. Ma un passo per volta, senza correre, gustandoci tutto.

Facciamo prima una pausa, riposiamoci un attimo, beviamo un sorso d’acqua, svuotiamo poscia la nostra vescica, togliamoci le scarpe (4) , che poi si parte. Anzi, ci si ferma.

“In principio era il verbo.” (5)

E’ qui che si coglie l’intuizione vertiginosa dell’evangelista, che afferma con forza mistica che il principio è la parola, e da essa tutto deriva. Se l’uomo è in prima istanza “animale sociale” (6) e “ non esiste uomo al di fuori della società” (7) , allora il linguaggio è il collante del vivere comune, l’elemento che permette agli uomini singoli di essere gruppo, comunità, società. Quindi senza la società non esiste l’uomo, senza il linguaggio non esiste società, e senza la parola non esiste la donna. (8)

Allora è nelle pieghe del linguaggio di chi vi dice “lavora”, “consuma”, “gioisci” che dobbiamo cercare; è il loro linguaggio che dobbiamo decostruire. (9)

E’ proprio vero che “In principio era il verbo”? Se guardiamo con attenzione, ma anche se non guardate che tanto ve lo dico io lo stesso, tale frase è traduzione dal latino “in principio erat Verbum” il quale traduce il greco κα λόγος ν πρς τν θεόν (En archè en o logos). Ma logos in greco significa "parola", non verbo, e ancora verbum in latino significa "parola", oltre che verbo.

Allora perché in tutte le versioni in italiano (10) del vangelo è riportato il termine “verbo”?

Chiediamoci allora, miei cari, “cos’è il verbo?”, “cos’è la parola?”, il logos?

Il verbo non è nient’altro che un costrutto semantico/linguistico atto a definire una qualsiasi azione, anche statica. Sembra quindi che vogliano farci credere che l’evangelista voglia suggerirci “implicitamente” che è nell’azione il principio, nel fare.

Quindi, anche in termini spietatamente Nietzschiani (11) il valore di ogni soggetto non è in sé, ma si definisce in base all’azione che compie. Nulla vale, nulla ha un valore effettivo, ma lo acquista solo in base alla propria funzione, alla propria azione e capacità d’azione che si sviluppa su un contesto statico.

E’ singolare, ma intellettualmente non troppo difficile, notare come tutta l’etica del primo capitalismo e delle rivoluzioni industriali aderisca a questa scala di valori, come trovi in questo tipo di cristianesimo, e in tutta la logica protestante, un terreno fertile per radicarsi e crescere. (12)

Ma la verità qual è?

Possiamo ancora una volta prendere ad esempio la Bibbia, il famoso passo della Genesi, nel capitolo secondo, dove Dio dà ad Adamo il compito di dare i nomi a tutte gli esseri viventi. (13) Se manteniamo la stessa impostazione teoretica, allora si può intuire che la possibilità/capacità di dare un nome alle cose, di riconoscerle, capirle, nominarle e, soprattutto, comunicarle, è la qualità principale e definitoria dell’uomo. E’ l’intelletto che è coscienza, (14) e il modo di esercitarla, che fa la differenza.

Non è quindi l’azione che definisce la società e l’uomo, ma la coscienza, e da essa il linguaggio e la possibilità di usarlo; la parola, il logos, appunto.

Lo so che non avete capito. Mi sento però di farvi un esempio, un poco più semplice, altrimenti che guida sarei?!

Diciamo ancora sulle parole, il loro significato e quello che vi hanno fatto credere che vogliano dire.

Prendiamo una parola a caso... vediamo, vediamo... ad esempio... chennesò... ah, ecco, trovato. Prendiamo ad esempio la parola “ozio". (15) Definite la parola “ozio”. Non provate a fregarmi, non cercate nei vocabolari, che tanto gli ho già letti tutti prima io di voi. Nemmeno su Wikipedia, su Google, oppure sui vostri libercoli di filosofia delle superiori o puttanate varie che tanto l’ho già fatto io; e io l’ho già fatto prima. Non facciamo i bambini, per favore.

E non scartabellate nemmeno tra le pubblicazioni che magari vi siete affrettati a comprare o che per sbaglio avete per casa, tipo Lucius Annaeus Seneca, Bertrand Russell, Tom Hodgkinson, andate in fretta fretta a cercare una definizione e poi avete trovato una bella risposta così siete a posto. Magari sfogliate un attimo la prefazione del professorone di turno, vi leggete la definizione e vi sentite a posto così, coscienza e intelletto. E no, non basta mica così, non è un compitino da svolgere a casa, non ci si ferma alla prima definizione che si trova, al primo pirla che parla.

Per capire la parola “ozio” ci vuole tempo, riflessione, contemplazione, passione, intelletto, e tanto, ma proprio tanto, ozio. Ma non corriamo, definiamo piuttosto.

Innanzi tutto diciamo subito che è importante capire come viene definito l’ozio dai professionisti delle definizioni. Analizziamo il metodo, demetodocizziamo. (16)

Il termine “ozio” è definito, almeno nella contemporaneità, sempre in chiave doppiamente negativa.

In primo luogo, in temimi di azione, ci viene detto o fatto capire, che oziare vuol dire “non fare niente”, abbandonarsi alla pigrizia, all’inerzia, all’inezia. In due parole “non fare”.

In questo senso oziare è un’azione che rifiuta un’azione, è la negazione del fare; uno stato di pausa, di stand-by che si colloca, come una parentesi, all’interno della vita vera, quella del fare.

Se chiedete ad una persona stesa sotto un albero cosa stia facendo, e lui vi rispondesse “Ozio” oppure “Non faccio un cazzo”, voi capireste la stessa cosa.

Di più, esiste anche una ampia diatriba accademica sull’interpretazione del valore delle azioni che si possono compiere o meno durante i momenti d’ozio. Se leggo un libro ozio o non ozio? Mentre ozio posso ascoltare musica? E se faccio all’amore? Se gioco? Penso? Rifletto?

Per non parlare poi di tutti gli apologeti che accostano ozio a pigrizia, ozio e relax, ozio e indolenza.

In secondo luogo, in termini strettamente morali, ci spiegano che l’ozio è negativo: nel senso che l’oziare fa male, fa male al corpo e allo spirito. Fa male non solo a noi, ma anche alle persone che ci sono vicine e che a noi sono legate.

Parlarvi del vecchio motto “l’ozio è il padre dei vizi” sarebbe come sfondare un cancello aperto, ma come non dire del “chi dorme non piglia pesci”, “just do it”, ”mi sono fatto da solo”. (17) Insomma, chi ozia si fa e fa del male.

Per non parlare poi della salute. Ti cresce la pancia, ti si ingrossa il culo, ti manca il fiato, non sei in forma. Piuttosto datti da fare, fai ginnastica, vai in piscina, vai in palestra, corri sul tapirulan, solleva pesi, tira corde, ma non stare fermo, muoviti, fai. Per i più metafisici ci sono pure gli esercizi spirituali (18) ; mezz’oretta al giorno e rendi il tuo spirito perfettamente tonico, l’anima al top della forma. E il cervello? C’è il brain-training, e checcazzo!

Fai esercizio, muoviti, vivi! Life is now!

E poi ci sono gli intellettuali, quelli che riabilitano l’ozio (a parole), e lo rendono utile ed efficiente. E’ “l’ozio creativo” la nuova frontiera. Fra un cocktail e uno champagnino, tra una chiacchierata e una telefonata, ti tirano fuori l’idea geniale per fare un po’ di soldi, o per fare dell’arte, dell’intellettualismo.

Questi falsi rivoluzionari proto-chic gioventù PDS (19), questi alternativi dei mie coglioni, (20) si appropriano, stuprano e svendono l’ozio dalla sua essenza, appioppandogli un fine che sia utile alla loro morale.

Immagino che a questo punto vi sarete anche rotti.

Anch’io, lo confesso, ma vogliamo o no capire cos’è l’ozio?!

Allora, per riassumere, dicevamo che per capire cos’è l’ozio ci vuole pazienza, coraggio e intelligenza. Si deve partire dall’inizio, capire il metodo, e cogliere il significato originario delle parole.

Ozio, quindi, che etimologicamente deriva dal latino OTIUM. Che cosa vuol dire?

I latini non avevano vocabolari, quindi ognuno può dire un po’ quel che gli pare.


__________________________________________________________________

Note al testo

(1) E’ da notare come il motto “il lavoro rende liberi”, in germanico “Arbeit macht frei", campeggiasse all'ingresso del campo di sterminio nazista di Auschwitz.

(2) “Co”. E’ da ritenersi una licenza poetica. La critica è concorde nel ritenere tale particella l’abbreviazione del termine “ cosa”.

(3) Citato poi nel lungometraggio “Palombella rossa” di Nanni Moretti, ed. Sacher, 1989

(4) Con prudenza perché gli odori arrivano dritto all’inconscio . Vedi anche Banana Yoshimoto, Kitchen (Kitchen, 1988). Feltrinelli 1991 e Lucertola (Tokage, 1993). Feltrinelli 1995

(5) Vangelo di Giovanni, Gv 1,1

(6) Tutta la teoria sociologica contemporanea è concorde con la tesi del F.. Uno per tutti si vedano Claude Levi-Strauss, Primitivi e civilizzati, Milano 1997 e Luciano Gallino (a cura di), Manuale di sociologia, ed UTET Università, 2008.

(7) Le moderne teorie neuroscientifiche, anche grazie alle recenti ricerche sui neuroni, sembra confermare le avveniristiche tesi del F. Ad esempio i neuroni mirror sono una classe di neuroni specifici che si attivano sia quando si compie un'azione sia quando la si osserva mentre è compiuta da altri (in particolare tra conspecifici). I neuroni dell'osservatore "rispecchiano" quindi il comportamento dell'osservato, come se stesse compiendo l'azione egli stesso. Questi neuroni sono stati individuati nei primati, in alcuni uccelli e nell'uomo. Nell'uomo, oltre ad essere localizzati in aree motorie e premotorie, si trovano anche nell'area di Broca e nella corteccia parietale inferiore. Vedi Iacoboni Marco, I neuroni specchio, Bollati Boringhieri, 2008 e Vilayanur S. Ramachandran La donna che morì dal ridere e altre storie incredibili sui misteri della mente umana (coautore Sandra Blakesee), Mondadori, 1998.

(8) Il F. utilizza il femminile e il maschile allo stesso modo. Quindi, in termini generali, quando F. scrive uomo non solo è come se scrivesse donna (e viceversa), ma come se intendesse entrambi come unico genere. Questa, a scanso di equivoci, è l’ultima volta che lo esplicitiamo.

(9) Il termine “decostruzione” fa il suo ingresso nella storia della filosofia occidentale con il tentativo, da parte di Jacques Derrida, di tradurre linguisticamente e semanticamente l’invito heideggeriano alla Destruktion dei concetti della metafisica. Si veda Jacques Derrida, Introduzione a Husserl "L'origine della geometria", Jaca Book, Milano 1987

(10) Fino all’ultima traduzione Cei è del 1971, dove viene correttamente tradotto “logos” con “parola”.

(11) [...] il volgo separa il fulmine dal suo bagliore e ritiene quest’ultimo un fare, una produzione di un soggetto, [...]. Ma un tal sostrato non esiste: non esiste alcun “essere” al di sotto del fare, dell’agire, del divenire; “colui che fa” non è che fittiziamente aggiunto al fare – il fare è tutto. F. Nietzsche, Genealogia della morale, prima dissertazione, sez. 13, Ed. Adelphi, 1984, pag.. 84.

(12) Anche Max Weber riprende e sviluppa le tesi del F. nel suo celeberrimo libro L'etica protestante e lo spirito del capitalismo. Per una più ampia trattazione si veda Raymond Aron, Le tappe del pensiero sociologico. Montesquieu, Comte, Marx, Farchioni, Durkheim, Pareto, Weber, Mondadori, 1989.

(13) La Sacra Bibbia, Genesi, cap. II. Si veda anche Jean Baptiste Burguliotes, La Bibbia e la parola. Mi no digo niente ma gnanca taso. Ed. Il Mulino, 1987

(14) Si veda anche Sant’ Agostino, Contro i Priscillianisti e gli Origenisti, e Pierluigi Baima Bollone, San Gennaro e la scienza, SEI, 1989

(15) F. anche fine umorista

(16) Per una rapida trattazione del demetodozionismo e della scuola demetodozionista si veda Enrico Berti, Ontologia analitica e metafisica classica, Giornale di metafisica, 29, 2007, 305-316

(17) Citata poi nell’operetta “Mi sono fatto da solo” di La Famiglia Rossi, ed. Dischi Luce, 2003

(18) Si veda a tale guisa i famigerati “Esercizi Spirituali” dell’associazione laicale di diritto pontificio denominata Comunione e Liberazione (C.L.). Vedi sito esercizispirituali.it oppure clonline.org.

(19) Attribuita poi al sommo Andrea De Magistris.

(20) Citata poi nell’operetta “Tono Metallico Standard” di Offlaga Disco Pax, ed. Santeria, 2005.